Rosmonda d'Inghilterra in Concerto

di Gaetano Donizetti

Opera di Firenze http://www.operadifirenze.it

Firenze
  • ottobre 2016
    09
    domenica
    15:30 > 18:30
    3 ore
  • ottobre 2016
    12
    mercoledì
    20:00 > 23:00
    3 ore
  • ottobre 2016
    15
    sabato
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Rosmonda d'Inghilterra in Concerto

Interpreti

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Totalità
Domenico Del Nero
Rosmonda: una rinascita a furor di pubblico
Jessica Pratt, già reduce dal successo di Semiramide, ha interpretato in modo magistrale un personaggio radicalmente diverso dalla regina assira, sia sul piano psicologico che su quello vocale. Estensione formidabile, facilità negli acuti e sovracuti, capacità eccezionale di coloratura caratterizzano il soprano australiano che nell’esordio, soprattutto nella cavatina iniziale, ha evocato un personaggio fragile e ingenuo: in Perché non ho del vento le colorature rendevano perfettamente la natura di questa eroina tanto sconosciuta quanto affascinante. Soprattutto nel secondo atto, la Pratt ha invece sfoderato  una “grinta” maggiore che risponde perfettamente all’evoluzione psicologica del personaggio, sfruttando al massimo la propria potenza vocale con risultati davvero straordinari.

Composizione

Rosmonda d'Inghilterra

Libretto scritto in italian da Felice Romani, messo in scena la prima volta di giovedì il 27 febbraio del 1834
Jessica ha già figurato in quest'opera per:
Sinossi
La regina Leonora è conscia del tradimento del marito, Enrico II d'Inghilterra, ed è intenzionata a scoprire la rivale. L'amante è la bella Rosmonda, figlia del consigliere del re, Clifford, ignara che il suo amante sia il re d'Inghilterra. Enrico la tiene nascosta dalla corte per timore della vendetta di Leonora, ma la regina riuscirà comunque a scoprire il castello, con la complicità del paggio Arturo, invaghito segretamente di Rosmonda. Clifford, intanto, è deciso a far redimere il re e la sua amante, ma quando scopre che l'amante non è altri che la figlia, le rivela l'identità di Enrico e il suo matrimonio con Leonora. Enrico afferma di poterlo sciogliere, scatenando le ire di Leonora, che medita vendetta. Rosmonda allora decide di fuggire dall'Inghilterra, temendo di poter essere una causa di contrasto tra i regnanti, e decide di partire con Arturo. Ma non riesce a fuggire perché viene accoltellata nel giardino dalla gelosa regina, tra il dolore di tutti quanti.
Testo
ATTO PRIMO Parco del Castello di Woodstock il quale vedesi in distanza fra le querce, e i platani da cui è circondato. Tutto d'intorno giardini, e boschetti. Si sente suono di trombe in distanza. Terrazzani di Woodstock che accorrono da ogni parte. Scena prima DONNE Non udiste? Un suon di tube echeggiò di colle in colle. UOMINI Polverio sembiante a nube via pei campi al ciel si estolle: sventolò, brillò da lunge il cimier del nostro re. TUTTI Accorriamo: egli è che giunge... Il re nostro... Viva il re. Giù pe' clivi, per le aiole, pei giardin, pei prati aperti sì cogliam, spargiam viole, ne tessiam ghirlande, e serti... Ne spargiamo a mani piene il sentiero al regio piè. Accorriamo, ei viene, ei viene... Viva Enrico! viva il re. (il popolo va incontro al re) Scena seconda Leonora ed Arturo. ARTURO Dove inoltri? LEONORA Che paventi? Ti difende Leonora. ARTURO Odi... LEONORA Invan sopir tu tenti il furor che mi divora, io vedrò la mia rivale... l'infedel sorprenderò. ARTURO (Ciel! Qual mai poter fatale il segreto a me strappò!) LEONORA E in oblìo così ponesti mia pietà, garzone ingrato? ARTURO Ah! non mai... tu m'accogliesti orfanello abbandonato; io per te... LEONORA Per me ti lice vagheggiar destin felice, posseder un ben che tolto senza me ti fora ognora. ARTURO Che di' tu? LEONORA Ti leggo in volto. L'ami?... ARTURO Io!... LEONORA Si ti leggo in cor. Fé mi serba, mi seconda: sposa tua sarà Rosmonda. A tal patto io le perdono il dolor che costa a me. Tu se l'ami, tu m'aita a difender la tradita, la sua destra ch'io ti dono sarà premio di tua fé... (musica, e voci) ARTURO Giunge il re: perduto io sono... Vieni, vieni... VOCI Viva il re! Partono. Scena terza I Terrazzani recano ghirlande, e spargono fiori, e cantano al suono di rusticali strumenti il seguente coro. Esce quindi Enrico preceduto, e seguito da numeroso corteggio di uffiziali, di guardie ecc. CORO Amor, che tutti accende de' tuoi vassalli i cor, noi, semplici pastor, a te conduce; a te ghirlande appende, non già di gemme, e d'or, ma degl'ingenui fior che il suol produce. D'un tuo sorriso almeno degnati tu, signor; alla virtude ancor, son premio i fiori. Quando di Londra in seno ritorni vincitor, Londra, per farti onor, t'offra gli allori. ENRICO Dopo i lauri di vittoria son pur dolci i fiori al prode. Dopo i cantici di lode caro è l'inno dell'amor. Il pensier sublimi, o gloria; ma l'amor consola il cor. CORO Non sdegnar de' nostri campi, sommo re, l'umil soggiorno; anche i campi a te d'intorno chiari son del tuo splendor. ENRICO (Potessi vivere com'io vorrei, lontan dagl'uomini i giorni miei! Potessi almeno de' boschi in seno, o mio bell'idolo, fuggir con te? Che val la gloria se tuo non sono, ah! più che il trono sei tu per me) Alle acclamazioni di "Viva il re" difila il corteggio, e si allontana. Mentre Enrico vuol partire s'incontra in Clifford. Scena quarta Enrico e Clifford. ENRICO Chi veggio? Tu, Clifford? CLIFFORD Compiuto in Francia l'illustre incarco a cui mi elesse un giorno il regio tuo favor, in patria io torno. ENRICO (Funesto arrivo!) CLIFFORD Ad abbracciar contento men già la figlia che di qui non lunge, nel castello natìo lasciai partendo; ma te qui giunto intendo; ed il paterno amor cede al dovere di suddito fedele. ENRICO (E il caro pegno io gli rapìa, crudele!) CLIFFORD Possa la mia venuta util recarti almen! Possa al tuo core risparmiare un rimorso! ENRICO (Oh ciel!) CLIFFORD Perdona al vecchio istitutor de' tuoi prim'anni il libero parlar: è voce intorno che cieco amore la tua gloria oscura, che chiusa in queste mura serbi ignota donzella, e che per lei poni in non cal di sacro imene i nodi, di Leonora i dritti, e gloria, e onore. ENRICO Nobil Clifford! Nudo io ti svelo il core. Amo; né forza umana può spegner l'amor mio. CLIFFORD Come? E in tal guisa a Leonora mancherai di fede? De' sacri altari al piede di', che giurasti tu? ENRICO Nol so: m'avvinse ragion di stato. Mi discioglie adesso ragion del cuore. CLIFFORD Oh! a qual trascorri eccesso! Né vedi l'avvenir? Né temi l'ira dell'offesa regina? E andrà sossopra tutta quanta Inghilterra? E per chi mai? Rispondi. ENRICO Amo, io ti dissi, e dissi assai. Tu non conosci il merto di quel celeste oggetto; quando ti fia scoperto non parlerai così. Dirai, virtù, l'affetto che l'alma mia rapì. CLIFFORD Qualunque sia l'oggetto che te colpevol rende, indegna al mio cospetto e di mirare il dì. Empia, le leggi offende: vile, l'onor tradì. ENRICO Io lo tradiva, io solo, che al padre la togliea... CLIFFORD Ha padre! E a lui tal duolo non risparmiò la rea! ENRICO Ah! se sapessi! Io deggio a questo padre il seggio... ed in mercè rapita ogni sua gioia io gli ho. CLIFFORD Lasso, e rimase in vita?... né di dolor mancò! ENRICO Pria che sul capo mio piombi sì ria sventura! CLIFFORD Ah! se maggior poss'io render la sua sciagura. ENRICO e CLIFFORD Tronca i miei giorni, o Dio; assai vissuto avrò. CLIFFORD La sciagurata scoprimi... che alla virtù lo renda... ENRICO Andrai... Ma tu magnanimo fia che pietà ne prenda... CLIFFORD Pietà?... Non mai... non merita l'infamia sua pietà. ENRICO Va'! tu primier dimentico sarai d'un lieve errore: tu la vedrai con giubilo sposa del tuo signore... e padre a lei, non giudice te questo onor farà. CLIFFORD Tanto con te colpevole non isperar ch'io sia; spinta all'abisso orribile ella per me non fia... la sua virtute a scuotere tuonar mia voce udrà. (partono) Sala nella torre di Rosmonda, grandi invetriate di fronte da cui veggonsi gli spalti del Castello. Scena quinta Rosmonda sola. ROSMONDA Volgon tre lune, ahi! lassa! e il dì ricorre. Il fatal dì, che in queste mura io gemo di rimorso, e di amor... Oh! tristo giorno! Le mie lagrime accresce il tuo ritorno! Oh, padre, o patrii colli, oh, mio dolce ritiro, ove tranquilla e innocente Io vivea, vi rivedrò più mai misera, e rea? O Edegardo! Edegardo! Se non tornassi più... Se i giuramenti oblìar tu potessi!... Ah, più discaccio questo orrendo pensier, sempre più torna alla mente atterrita!... Vieni, Edegardo mio, vieni, mia vita!... Perché non ho del vento l'infaticabil volo? Lunge in estraneo suolo, ti seguirei mio ben. Dove tu sei... sen volino i miei sospiri almen. (odesi di dentro preludiare sul liuto la medesima aria, Rosmonda porge l'orecchio) Tenero Arturo! Ei sol mi ascolta, ei solo in queste a miei martir mura tacenti mi compiange, e risponde ai miei lamenti. ARTURO (di dentro) Perché non ho del sole gli onniveggenti rai? Sempre dovunque vai io ti vedrei mio ben., Ove tu sei ti veggano i miei pensieri almen. Rosmonda ripete i due ultimi versi. La canzone prosegue: ARTURO (come sopra) Invan da te mi parte di rio destin tenore: varca ogni spazio amore, teco son io, mio ben. Lontane ancor s'incontrino l'anime nostre almen. ROSMONDA Oh, come tosto, il giovine gentil la mesta apprese canzone del dolor! Anch'io l'appresi dell'età sull'aurora. Oh, quando fia ch'io la rammenti ancora? Torna, ah! torna, o caro oggetto, a bearmi d'un tuo sguardo: vieni, o tenero Edegardo, i miei giorni a serenar. Ch'io riposi sul tuo petto! Ch'io ti parli ancor d'amore e i rimorsi del mio cuore io potrò dimenticar... Scena sesta Arturo e Rosmonda. Arturo che pocanzi era uscito, e si era fermato un momento in disparte, si avanza con trasporto che poi raffrena. ROSMONDA T'appressa, Arturo. ARTURO Al fin di gioia un raggio veggo negl'occhi tuoi. ROSMONDA Gioia fugace, come raggio di sole in ciel piovoso. ARTURO Pur lieto, e avventuroso giorno è questo per te. (Tu soffri, o core; ella gioisca) Dalla doma Irlanda giunge carco d'allori il mio signore. ROSMONDA Edegardo! oh, contento! ARTURO (Oh, mio dolore!) ROSMONDA Né a me vien esso? ARTURO A te per poco il toglie grave cura... del re: da lui spedito or mel diceva un messo, ed aggiungea che un vecchio cavalier libero ingresso in queste soglie per suo cenno avrìa. ROSMONDA Un vecchio cavalier!... Cielo!... Che fia! ARTURO Nobile, e umano cor, dal re diletto, caro a tutta Inghilterra... Egli conforto, sostegno esser ti puote in ogni evento. ROSMONDA Il suo nome?... ARTURO Clifford. ROSMONDA Oh, mio spavento! ARTURO Tremi! Il conosci tu? ROSMONDA Lassa! ei m'è padre... Rosmonda io son. ARTURO Rosmonda! ROSMONDA Ahi, sciagurata! Chi mi asconde al suo sdegno?... ARTURO Alcun si appressa: ti ritira infelice. ROSMONDA Ah! non poss'io... Il tremante mio piede è fitto al suolo. ARTURO Eccolo. Scena settima Entra Clifford, Rosmonda si abbandona sopra un sedile, e cela il volto fra le mani. Arturo va incontro a Clifford che si arresta lontano. CLIFFORD (ad Arturo) E dessa? ARTURO Sì... (tremante) CLIFFORD Lasciami solo. ARTURO Deh! tu con lei severo non ti mostrar, signore. (parte) CLIFFORD Piange?... (Ah, del tutto (osservandola da lontano) non è virtude nel suo cor sopita) (si appressa) Donna, a recarti aita eccomi a te. Sorgi... Ah! chi vedo? ROSMONDA (precipitandosi ai suoi piedi) Un'empia che implora il tuo perdono. CLIFFORD Mia figlia! ROSMONDA (ai piedi di Clifford) Ah, padre! CLIFFORD Io padre tuo? Nol sono. ROSMONDA Deh! ti arresta! Deh! ti degna di ascoltarmi un solo istante. CLIFFORD Odi tu: ti parla, indegna, col mio labbro il ciel tonante. Tu macchiato, o iniqua figlia, hai l'onor di tua famiglia, condannato a infamia eterna il tuo vecchio genitor. Va'! la collera superna piombi... ROSMONDA (interrompendolo con un grido) Ah! no: sei padre ancor. CLIFFORD Era, ahi lasso! Ell'era in pria de' miei dì consolatrice... le virtudi, oh ciel! m'offria dell'estinta genitrice... or caduta, profanata più costei virtù non ha, oh la madre avventurata! Tale obbrobrio almen non sa! ROSMONDA Ciel! tu piangi? Ah, tu mi svena; o m'ascondi il tuo dolore... il tuo sdegno è minor pena, men crudele è il tuo furore. Ch'io mi strugga in pianto, o padre, io per cui più ben non v'ha. Questa almen m'impetra, o madre, questa almen da lui pietà. CLIFFORD Vieni meco, ed un ritiro celi al mondo i falli tuoi. ROSMONDA (Me infelice!) CLIFFORD Andiam... Che miro! Esitar ancor tu puoi? ROSMONDA M'odi! Ah, m'odi! A me sua fede ei promise... CLIFFORD Altrui la diede. ROSMONDA Oh terror!... Sarìa l'infido?... CLIFFORD Già marito... trema... È il re. ROSMONDA Oh! qual velo è a me squarciato! Quale abisso a me s'addita! Tu dal ciel sei vendicato, crudelmente io son punita... Era meglio il cor passarmi che destarmi a tanto orror. CLIFFORD Piangi meco, o sventurata... Piangi in sen del genitore. Sei dal cielo perdonata se detesti il traditore: tutto, ah! tutto io non perdei, tu mi sei renduta ancor. Odesi una voce. ENRICO Rosmonda!... (di dentro) ROSMONDA È desso... il perfido... Agli occhi suoi mi cela. CLIFFORD Vieni, fa cor. ROSMONDA Sostienmi... (cade svenuta) Il giorno a mesi vela. Scena ottava Enrico e detti. ENRICO Che veggio? CLIFFORD La tua vittima, mira. (additandole Rosmonda svenuta) ENRICO Clifford! (Che fèi?) CLIFFORD Compi l'eccesso; uccidila: ella respira ancora. ENRICO Rosmonda! ROSMONDA (rinvenuta) Fuggi, involati, sposo di Leonora. ENRICO Lo fui. ROSMONDA Lo sei. Va', barbaro. CLIFFORD Non l'oltraggiar di più. ENRICO Ah, senti! CLIFFORD É vano. ENRICO Ascoltami almen, Rosmonda, tu!... ROSMONDA Io ti ascoltai!... (piangendo) ENRICO Non piangere, solleva in melo sguardo. Si appresta Enrico a compiere i giuri di Edegardo. Della sua destra il dono ei prometteva a te. La sua corona, e il trono ora v'aggiunge il re. ROSMONDA (sorgendo) Non isperar che complice di sì gran fallo io sia: di Leonora è il soglio; sol la sventura è mia. Aperto più non trovano le tue lusinghe il cor. Traggimi, ah, padre, ah! traggimi lungi dal seduttor. CLIFFORD Or son contento: abbracciami: son sciolti i tuoi legami. ENRICO Che mai farò? CLIFFORD (Sostienila, ciel, che a virtù la chiami) Vieni, partiam. ENRICO T'arresta: sposa di Enrico è questa: né tu, né il mondo intero a lui la toglierà. Resta. CLIFFORD L'ingiusto impero io non ascolto. ENRICO Olà, (forte all'ingresso) Scena nona Leonora seguìta dai cortigiani, dame, e guardie. ENRICO Ciel! CLIFFORD La regina! LEONORA Irato, (fingendo sorpresa) commosso il re cotanto? Che fu? Clifford turbato? Una donzella in pianto? ROSMONDA A sguardi suoi nascondimi, o cielo, per pietà. LEONORA (È dessa. Alfin la perfida giungo a mirar d'appresso. Sottrarla a me non possono né il re, né il cielo istesso. Già stringe la sua vittima il giusto mio furor) ENRICO (Io fremo. Invan dissimula; tenta ingannar me stesso: l'odio, il livor dell'animo ha sulla fronte impresso: già l'innocente vittima divora il suo furor) ROSMONDA (Io tremo. Oh! qual terribile sdegno in quel volto espresso! Un Dio la guida, un vindice del mio fatale eccesso. A miei rimorsi, ahi misera! Si aggiunge il mio terror) ARTURO (Respiro. Oh, ciel benefico!) CLIFFORD (Scorta qui l'hai tu stesso... tu vuoi per lei difendere, salvar l'onore oppresso, vuoi ravvivar le languide speranze del mio cor) CORO (Quale, in quei volti taciti, quale furor represso! Nunzia è tal calma orribile che la tempesta è presso. Ciel, tu la sgombra, e dissipa fin che è sospesa ancor) LEONORA Tace ognun! Nessun risponde? Tu, Clifford, favella almeno. CLIFFORD La cagion che ci confonde tu ben sai, l'intendi appieno. La mia figlia sventurata, salva tu da un seduttor. LEONORA Figlia tua? Sì, fia salvata: le offro un braccio protettor. (per appressarsi a lei) ENRICO Ti allontana. Guai, sì, guai! Se appressarti ardisci a lei. Mi sei nota. LEONORA E noto assai, (più non frenandosi) traditor, tu pur mi sei, ma paventa... ENRICO Leonora! LEONORA La rival paventi ancora. L'ardir mio non è smarrito. ENRICO Leonora! LEONORA Io regno ancor. ENRICO Il tuo regno! Egli è finito. Va'! l'impone il tuo signor. LEONORA Empio! Ed osi?... ENRICO Tutto. LEONORA Indegno! ENRICO Esci, o trema. ARTURO e CORO (frapponendosi) Oh! ciel! cessate. Deh, alla corte, a tutto il regno rio spettacolo non date! ENRICO Tutto il regno in questo giorno un maggior da me ne avrà. LEONORA Tanto oltraggio... CLIFFORD Tanto scorno... LEONORA e CLIFFORD Consumato non sarà. ENRICO Tremi ognun che cimentarmi osi ancora, ancor si attenti. Ho potuto assai frenarmi; le mie smanie or son furenti, mille volte sciagurato chi prorompere le fa. LEONORA Come io sappia vendicarmi traditore, udran le genti. Sorgeranno all'ire, all'armi regni, popoli, parenti... Il furor che m'hai destato l'universo scuoterà. ROSMONDA Ah! s'io deggio udir nomarmi rea cagion d'infausti eventi, giusto ciel, non vendicarmi non udire i miei lamenti... Il dolore a me serbato lieve ancora a me sarà. TUTTI GLI ALTRI Deh! si tolga, si risparmi scena orribile alle genti! La pietade vi disarmi di due popoli dolenti, qual di voi protegga il fato sangue a rivi scorrerà. ATTO SECONDO Gran sala nel castello che mette agli appartamenti reali. Scena prima Enrico è seduto ad un tavolino, i suoi consiglieri lo circondano. Tutti sono in atto di gran deliberazione. CORO I Udimmo, o re: qual suddito potria mutar tua voglia? CORO II Se grave è tanto e orribile, il nodo tuo, si scioglia. TUTTI Ma, deh! perdona, o sire, libero e ingenuo dire, talvolta al ben del regno immola il proprio un re. CORO I Sai che segrete vivono lunghe discordie, e fiere... CORO II Sai che a tuoi danni vegliano le gelosìe straniere... TUTTI Che l'Aquitania puote da Leonora in dote al primo che con l'armi la vendichi di te. Tacciono tutti, il re sorge. ENRICO Quanto dal vostro zelo suggerito mi vien, tutto già volsi meco stesso in pensier. Peggior nemica mi è Leonora in Londra che in Aquitania sua. Funesta dote ella reca ai mariti, e quale, ah, pondo lo scettro di Guienna, è noto al mondo. Ite; e il consiglio intero oda, e approvi il grand'atto: al dì novello fia che rivarchi il mar, non più regina, l'altera Leonora. I consiglieri partono. Enrico si accorge di Leonora e tenta partire. Scena seconda Leonora ed Enrico. LEONORA Fermati; il dì novello è lungi ancora. ENRICO È vero... al mio desire pigro è il volo del tempo. LEONORA A che l'affretti? Che speri tu ch'ei rechi? Ah! pria ch'ei m'abbia dal tuo fianco a bandir, fia che rovesci dai fondamenti suoi l'isola intera. ENRICO T'acqueta, ormai l'altera favella tua più sbigottir non puote un'alma che ha ripresi i dritti suoi. LEONORA Tuoi dritti? E i miei dimenticar tu puoi? Duca di Normandia, chi re ti fece? Chi tesori, ed armi, chi consigli ti diede? Io sola in Londra ti acquistai partigiani, io ti composi i discordi voleri, io ti guidai per facil via dell'Inghilterra al soglio. ENRICO E vi sedette il tuo superbo orgoglio. Sola regnar volevi, tu sola, in nome mio; ferreo stendesti sulla corte il tuo scettro, e su me stesso: devoto, e a te sommesso per appagare ambizion fatale, sposo cercavi... LEONORA Ambizione! E quale? Mi splendeva un serto in fronte qual non è quel ch'io ti diedi: ebbi Europa, ed Asia ai piedi pria che l'Anglia, ed il suo re. ENRICO Sulla Senna, e sull'Oronte son pur chiari i vanti tuoi: sul Tamigi aver non puoi degno luogo accanto a me. LEONORA Or m'insulti!... E un dì sapesti lusingarmi, o menzognero. ENRICO Ne ho rossore. LEONORA E tu cogliesti de' miei falli il frutto intiero. ENRICO Ne ho rimorso. LEONORA Ah! l'abbi, ingrato, di obliar l'amor giurato, di sprezzar un cor fedele che t'amò di tanto amor. ENRICO Tu mi amasti! Tu!! LEONORA Crudele! Io ti amava... e ti amo ancor. Caro, sebben colpevole, sento che ancor mi sei; io non ti posso perdere, non so partir da te. Regna pur solo e libero sovra i tuoi Stati, e i miei. Solo il tuo cor desidero; tutto è il tuo cor per me. ENRICO Tanto dimessa, e supplice tu per amor non sei... l'ire che in cor ti fremono mal tu nascondi a me. Serba i tuoi Stati, e lasciami pago regnar sui miei; barriera insuperabile fra me s'innalza a te. LEONORA Dunque immolarmi, o perfido, ad altra donna or vuoi? Parla. ENRICO Io vo pace: io sciogliermi voglio dai lacci tuoi. Quel che fia poi, nol chiedere. LEONORA Va' traditor; Io so ma trema... Ancor qual esule varcato il mar non ho. Tu sei mio... per sempre mio; discacciarmi invan tu brami: sono eterni i tuoi legami; il destin li fabbricò. Quel ch'io posso, chi son io tu vedrai dell'ara al piede... altre faci, ed altre tede di mia man vi accenderò. ENRICO Nel tuo cuore appien vegg'io: nuovi orrori invan tu trami; son già sciolti i miei legami, una furia li spezzò. Fra i tuoi sdegni, e l'odio mio si frapponga il mare in guerra ambidue l'istessa terra sostener, nutrir non può. Partono minacciosi. Galleria nella torre di Rosmonda. Da un lato una scala conduce alle sue stanze: dall'altro avvi la porta d'ingresso. Di fronte si vede l'orologio del castello. Scena terza Arturo solo. ARTURO Che pensi, Arturo? Tanto spazio hai corso che arrestarti non puoi: della regina cieco tu sei strumento. Sia pur qual volsi il suo segreto intento. Pietà ti muova, o cielo, la giovinezza mia... sol Leonora in me destò questa speranza audace ch'esser mi può fatale... Troppo, ahi! troppo è possente il mio rivale. Io non ti posso offrir né gloria né splendor: cara, non ho che amor, non ho che un core. Ma questo cor morir non negherìa per te; malo splendor d'un re non vale amore. Ritorna a splendere audace speme; possente all'anima favella ancor, e contro i palpiti d'un cor che geme, opponi i fervidi desir d'amor. Ma il tempo vola. Omai sgombrar mi è forza ogni dubbiezza. Alla regina avvinto troppo son io perché pentirmi io possa... Fede, promessa, amor, tutto mel vieta... Eccola. (va ad aprire sentendo picchiare all'uscio segreto) Scena quarta Clifford e Arturo. ARTURO Oh! ciel! CLIFFORD T'acqueta. ARTURO Tu libero, signor? CLIFFORD Sì. La regina sciolse i miei lacci, e per l'ascosa via, che tu le apristi, me in sua vece invia. Or di': verrà Rosmonda? ARTURO Ella il promise. CLIFFORD Consiglier migliore della regina istessa nel padre avrà. ARTURO Taci: alcun giunge. Scena quinta Rosmonda scende dalle scale. CLIFFORD É dessa. ROSMONDA Che veggo? Oh! gioia! Enrico teco è placato! CLIFFORD Più cortese mano al carcer mio mi tolse. Alla regina tu devi il padre... e in lei salute avrai dove tu non ti opponga al suo disegno. ROSMONDA Parla. CLIFFORD Da questo regno partir tu devi al primo suon di squilla che annunzi il dì morente. A te fia scorta in Aquitania Arturo... Ivi... lontana da un suolo testimon del tuo rossore... il giovin generoso sposo ti fia. ROSMONDA Sposo!... ARTURO (Gran Dio!) CLIFFORD Sì, sposo. Tremi!... Esitar potresti! ROSMONDA Misera me! CLIFFORD Potresti ancor nutrire qualche ria speme! ROSMONDA Ogni mia speme è morta coll'innocenza mia. ARTURO Il fallo è altrui. Men puro non fece la sventura il tuo bel core, né men cara mi sei. Beato in terra quant'altri mai mi renderà tua mano. ROSMONDA Beato! Oh, Arturo! Ti lusinghi invano. Sospiri eterni in dote ti recherei. Veracemente amarmi non puote un nobil cor. ARTURO Rosmonda! CLIFFORD Oh! come mal tu travisi la colpevol fiamma che ancor t'accende! Al seduttor serbarti in guisa tal tu speri, empia lo vedo... ROSMONDA Serbarmi a lui?... Né lo desio, né il chiedo. Io fuggirò quel perfido: a te lo giuro e al cielo. Fia che mi asconda agli uomini de' penitenti il velo, mi avvolgerò nel cenere a piè del sacro altar... Ma, la mia man non chiedere io più non posso amar. CLIFFORD E me deserto, e vedovo lasciar potresti, o figlia? ROSMONDA Lassa! CLIFFORD Né vuoi tu chiudere al genitor le ciglia? ARTURO Odi... il paterno pianto forza ti faccia al cor. ROSMONDA Oh! non amor, soltanto chiedete a me dolor. CLIFFORD Risolvi... ROSMONDA Oh Dio! CLIFFORD Va! barbara! A mie catene io riedo. ROSMONDA Padre! Deh! padre, ascoltami. CLIFFORD Io più nol sono. (per allontanarsi) ROSMONDA Io cedo. Lunge mi guidi Arturo, mi arrendo al vostro amor. ARTURO Oh! gioia! CLIFFORD E il giuri? ROSMONDA Il giuro. CLIFFORD e ARTURO Ma che? tu piangi ancor? ROSMONDA(1) Lasciate che in lagrime si strugga il mio cuore; null'altro che piangere rimane per me. Per sempre sparirono la pace, l'onore: conforto a quest'anima concesso non è. (1) Lo spartito riporta i seguenti versi in musica: ROSMONDA Senza pace, con un cor che troppo sente, io vedrò l'età ridente consumarsi nel dolor. Ah, per me non v'ha più speme; non v'è pace, non v'è amor. ARTURO e CLIFFORD Reprimi le lagrime nascondi il dolore: gioire, non piangere, tu devi per te. La pace ricuperi, riacquisti l'onore: intiera dei palpiti ottieni mercè. Clifford parte accompagnato da Arturo. Rosmonda si getta sopra uno scanno lagrimando. Scena sesta Rosmonda sola. ROSMONDA Giurato è il sacrifizio... O ciel, mi reggi perch'io lo compia. E il compirò: fia tronca ogni speme così, che ancor potria lusingar l'avvilita anima mia. (sorge) Rapida inoltra l'ora prefissa al mio partir. Oh, sol! Domani il raggio tuo nascente vedrà sul mar le vele che me torranno a questo suol crudele. Ma qual d'appresso ascolto di passi calpestìo?... Veggasi. Oh, cielo! Il re!... si fugga. Scena settima Enrico e Rosmonda. ENRICO Me tu fuggi! ROSMONDA (Io gelo) ENRICO Rosmonda! ROSMONDA (Oh, fatal voce!) ENRICO Edegardo non odi? ROSMONDA Ah! mai non fossi stato Edegardo tu! Mai non ti avessi nel mio ritiro udito! A che mai vieni! Il mio pianto a mirar? Onta mi fora, barbaro, innanzi a te versarne ancora. ENRICO Più non ne verserai, mai più, Rosmonda. Già d'Enrico sposa t'acclamano i primati, e d'Inghilterra universal desìo, ti chiama al trono... ROSMONDA Al pianto, al pianto condannata io sono. Tu stesso al padre or rendimi... consola il veglio afflitto... minori il tuo delitto quest'atto di pietà. ENRICO Te vuol rapirmi il barbaro, te sposa altrui destina; quando sarai regina grazia, e favore avrai. ROSMONDA Regina! io!... Nol credere; mai nol sarò. ENRICO Già il sei. ROSMONDA Ah! sol di te son vittima... fuggi dagli occhi miei. Ch'io più non t'oda... ENRICO Ingrata! Tanto sei tu cambiata! Sì ria mercé tu dai all'amor mio fedel! ROSMONDA Il debbo... io lo giurai. ENRICO A chi? ROSMONDA All'onore, al ciel. ENRICO Giurasti un dì... rammentalo... d'amarmi ognor giurasti; presente il ciel medesimo ai giuri tuoi chiamasti: speranze, onor, ventura, tutto ponevi in me... Ah! non sarai spergiura non mancherai di fé. ROSMONDA Non io, non io dimentica son di quei giuri, il sai: quell'Edegardo rendimi cui l'onor mio fidai... Quell'alma onesta e pura, quel nobil cor dov'è? Oh! eterna mia sventura qui non vegg'io che il re. Batte l'ora, Rosmonda si scuote, e prorompe in un grido. ROSMONDA Ah! ENRICO Qual terror! ROSMONDA Me misera! L'ora inoltrò! ENRICO Qual'ora? ROSMONDA L'ora che dée dividerci... Lasciami per pietà. ENRICO Ingrata! E insisti ancora? ROSMONDA Fino alla morte. Va'... ENRICO Concedo un breve istante al tuo timore insano; se puoi scordar l'amante, rammenta il tuo sovrano... Pensa che sprezzo, e sdegno per la tua destra un regno, pensa che freno, ed argine immenso amor non ha. ROSMONDA Ah! nel mio cor tremante pace tu speri invano... Me la rapì l'amante, darla non può il sovrano. Penso che d'Anglia il regno di un altro amor fu pegno; penso che più colpevole il tuo furor ti fa. Rosmonda si allontana rapidamente, Enrico parte. Parte solitaria dei giardini in Woodstock: avvi un boschetto di platani, ed una fontana ombreggiata da salici piangenti. Scena ottava È notte. Escono da varie parti i seguaci di Leonora guardinghi, esplorando il luogo. CORO Ecco gli antichi platani levare al ciel la fronte. Sotto i piangenti salici ecco il segreto fonte. Giungemmo noi solleciti: ella non venne ancor. Presso i vicini portici onde al castel si ascende, alcun furtivo e tacito vada a spiar se scende. Se scolta intorno aggirasi se desto è alcun romor. Silenzio... Udiamo. È il fremito d'aura tra fronda, e fronda... Il fonte egli è che mormora franto tra sponda, e sponda... Raddensa, o ciel, le tenebre; ci arrida il tuo favor. (si disperdono) Scena nona Rosmonda sola. ROSMONDA Primiera io giungo, chi trattiene Arturo? Quale inciampo il ritarda? Avria qualcuno penetrato il disegno? Ah! tolga il cielo che ci sorprenda Enrico... io tremo... io gelo. Sediam. Oh! come freddi (siede presso la fontana) son questi marmi!... come densa e cupa la notte che mi cinge! Ogni funesto presentimento mio cresce coll'ombra... rio presagio di morte il cor m'ingombra, (sorge sbigottita) Quale indistinto ascolto fragor lontano... è il gemito del vento fra ramo, e ramo... è il mormorar dell'onda. Scena decima Leonora e detta. LEONORA (da lunge) (È dessa)... ROSMONDA Ah! chi parlò?... LEONORA (avvicinandosi) Sei tu, Rosmonda? ROSMONDA (tremante) Sì, son io... qui sola io movo palpitante, e sbigottita. LEONORA N'hai ben d'onde. ROSMONDA O ciel! qual nuovo sdegno in te? LEONORA Tu m'hai tradita. ROSMONDA Io!! LEONORA Sì, tu. Per ogni lato corron guardie... ognuno è armato. Per te sola, o traditrice, il disegno è noto al re. ROSMONDA Noto ad esso!... oh! me infelice! Ove è il padre? Arturo ov'è? LEONORA Forse in ceppi. ROSMONDA Oh! in lor difesa accorriamo... (per uscire) LEONORA Arresta ingrata: (afferrandola per un braccio) speri invan che tanta offesa io sopporti invendicata; l'onta mia, la mia ruìna speri invan di consumar. ROSMONDA Oh! pietà; pietà regina! Me sì rea, deh! non pensar. LEONORA Tu morrai, tu m'hai costretta, tu m'hai spinta a colpa orrenda. Non è più, non è vendetta, non è sdegno che m'accenda. È delirio, è insania estrema che il pugnal brandir mi fa. Trema iniqua, indegna, trema! Niun da me ti salverà. ROSMONDA Ah! lo giuro, al ciel lo giuro, il segreto io non tradìa. Qui prevenni il padre, e Arturo. Qui piangea... ma pur partia... Immolava ai dritti tuoi gloria, amor, tranquillità. Se la vita ancor tu vòi... pochi giorni... e tua sarà. Un momento di silenzio. Leonora tiene il pugnale sollevato su Rosmonda prostrata ai suoi piedi. LEONORA Sorgi, e vieni, io t'offro ancora un sol mezzo a disarmarmi. ROSMONDA Qual? Favella! Scena undicesima I partigiani di Leonora e dette. CORO Leonora! Fuggi! Enrico accorre in armi. LEONORA E Clifford? CORO In lacci è desso... Il disegno appien mancò. LEONORA Tu mi traggi al nero eccesso sorte avversa, e il compirò. CORO Ecco il re. ROSMONDA Momento orrendo. ENRICO (di dentro) Mia Rosmonda! ROSMONDA Oh! ciel t'imploro. Scena ultima Enrico con seguito di armati, cavalieri e dame, Clifford ed Arturo disarmati fra le guardie. ENRICO Dove è dessa? LEONORA Io te la rendo. (la trafigge) TUTTI Ah! ENRICO, CLIFFORD e ARTURO Spietata! ROSMONDA O padre!... io moro. CLIFFORD Figlia! Figlia! (precipitandosi sopra Rosmonda) CORO Sventurata! Ella spira!... TUTTI Oh! Dio! Che orror! LEONORA Sono, al fine, vendicata. Trema, Enrico! Io regno ancor. FINE

Gaetano Donizetti

Breve biografia del compositore
Domenico Gaetano Maria Donizetti (Bergamo, 29 novembre 1797 – Bergamo, 8 aprile 1848) scrisse più di settanta opere, oltre a numerose composizioni di musica sacra e da camera. Le opere del Donizetti oggi più sovente rappresentate nei teatri di tutto il mondo sono L'elisir d'amore, la Lucia di Lammermoor e il Don Pasquale. Con frequenza sono allestite anche La fille du régiment, La Favorite, la Maria Stuarda, l'Anna Bolena, la Lucrezia Borgia e il Roberto Devereux. Nato a Bergamo il 29 novembre 1797, fu ammesso alle lezioni caritatevoli di musica tenute da Giovanni Simone Mayr e Francesco Salari. Fu proprio il Mayr ad aprire all'allievo prediletto le possibilità di successo, curandone prima la formazione e affidandolo poi alle cure di Stanislao Mattei. A Bologna, dove proseguiva gli studi musicali, il Donizetti scrisse la sua prima opera teatrale, Il Pigmalione. La rappresentazione "Enrico di Borgogna" a Venezia nel 1818, segnò il suo esordio teatrale. Firmato nel 1827 un contratto con l’impresario Domenico Barbaya, Donizetti si stabilì a Napoli, raggiungendo il grande successo con "Anna Bolena" ed "Elisir d’Amore". Nel 1829 era stato nominato direttore dei Teatri Reali di Napoli e, nel 1834, accettò la Cattedra di Composizione al Conservatorio della stessa città. Nel 1832, alla morte di Vincenzo Bellini, nonostante l'antipatia dimostrata in vita nei confronti del musicista, Donizetti gli dedicò una Messa da Requem. Nel 1835, Donizetti fece rappresentare a Napoli la "Lucia di Lammermoor" e, mentre la vita professionale del compositore andava a gonfie vele, venne colpito da una serie di lutti: in pochi mesi morirono il padre, la madre e la seconda figlia. Donizetti interruppe ogni sua attività in Italia per recarsi a Parigi, su consiglio di Gioachino Rossini. Nonostante la sfortuna continuasse a perseguitare il musicista con la morte della moglie e di un'altra figlia, Gaetano Donizetti curò il dispiacere e la solitudine componendo in pochi anni "Don Pasquale", "Don Sebastiano del Portogallo", "Linda di Chamounix", "Maria di Rohanna" e il "Conte di Chalais". Nel 1842 ricevette a Vienna l’ambita nomina di Maestro di Cappella di Corte, ma la sua salute, peggiorò sempre di più ed alla fine fu internato nel manicomio di Ivry-sur-Seine. Nel 1847, Donizetti,trasportato a Bergamo, fu accolto dai baroni Basoni Scotti, che lo assistettero fino alla morte, sopravvenuta l'8 Aprile 1848.
Jessica ha già figurato nelle seguenti opere dallo stesso compositore:

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