Beatrice di Tenda

di Vincenzo Bellini

Teatro San Carlo http://www.teatrosancarlo.it

Napoli
  • Direttore Giacomo Sagripanti
  • settembre 2023
    23
    sabato
    19:30 > 22:30
    3 ore

Non disponibile in italiano
La penultima opera di Bellini ebbe una genesi travagliata. Composta in fretta, tra il gennaio e il marzo del 1833, risentì anche del ritardo con cui Romani consegnò la seconda parte del libretto. Il musicista catanese fu costretto a completare l'opera ricorrendo a motivi tratti da lavori precedenti (Bianca e Fernando e Zaira), rinunciando a completare il duetto tra Beatrice e Agnese, già abbozzato. Bellini attribuì al librettista la causa dell'insuccesso e ruppe temporaneamente i rapporti col suo poeta. Beatrice di Tenda è infatti l'ultima opera realizzata in comune dai due artisti. Dopo I puritani, su versi di Carlo Pepoli, Bellini riprese i contatti con Romani, ma il progetto di una nuova collaborazione fu vanificato dalla prematura morte del compositore.

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Beatrice di Tenda

Interpreti

Stampa e Recensioni

Ape Musicale
Luigi Raso
È trionfo, non è pena
Il ritorno di Beatrice di Tenda al Teatro di San Carlo dopo sessantun anni è salutato con applausi e ovazioni. [...] Fulcro vocale di questa Beatrice di Tenda è Jessica Pratt, la quale, inglese naturalizzata australiana, raccoglie idealmente il testimone di Beatrice da un’altra australiana, uno dei miti assoluti della lirica, Joan Sutherland, apparsa un’unica volta al San Carlo, proprio nelle vesti della storica eroina belliniana. Jessica Pratt, debuttante nei panni di Beatrice, domina con sicurezza e naturalezza l’intera parte; la sua vocalità, protesa verso il registro acuto, dà il suo meglio e si esalta nel florilegio di acuti, agilità, picchiettati e abbellimenti; appaiono meno a fuoco i registri medio e basso, ma il suo legato è una lezione di tecnica vocale. Ad emergere è l’interpretazione di una Beatrice energica, che si oppone con veemenza alle calunnie di infedeltà, che affronta la pena capitale con composta rassegnazione. [...] Alla musicalmente spumeggiante cabaletta - “Ah! La morte cui m’appresso” - intonata dalla Pratt e al lungo acuto conclusivo seguono applausi scroscianti, prolungati e calorosissimi. [...] Questa interessante ripresa si chiude con un trionfo per tutti: applausi e ovazioni come se fosse appena terminata un’incandescente Traviata. Sono queste le serate a teatro che amiamo vivere.
Operatraveller
A Feast of Bel Canto: Beatrice di Tenda at the Teatro San Carlo
Non disponibile in italiano
Then there was Pratt. I wouldn’t normally comment on a singer’s couture in a concert performance such as this, but Pratt most certainly made an entrance in the first act, in a magnificent long, flowing sky-blue dress that looked like a costume from a very traditional staging of the work. She then changed into a similarly grand black number for the second act. Pratt looked every inch the regal figure even before she opened her mouth. I must admit that my previous encounters with her have left me rather cold. Tonight was different. This is a beast of a role for the singer, but when done well the pleasure for the audience is limitless. Pratt gave us some deliciously limpid soft singing, floating the tone on the breath with exquisite ease. She embellished her lines with taste and imagination – and a genuine trill. Yes, some of her runs were a bit bumpy and the very highest acuti did tend to thin out somewhat. That said, it was absolutely thrilling to watch a singer bring such total command to the role, those hours of work in the studio apparent in the absolute and complete command of everything the role could throw at her. Pratt rose to a final scene of uninhibited bravura, ornamenting the line with imagination even in the highest reaches, taking risks with adding additional trills and excursions to the stratosphere. The audience went absolutely wild for her. It was exhilarating. [...] This was one of those evenings when one left the theatre completely uplifted after watching a group of singers perform the most exciting feats of virtuosity. It gave me immense satisfaction to watch Filónczyk give us such superb bel canto baritone singing and Pratt take control and give us singing of uninhibited virtuosity. [...] As mentioned above, the audience reaction was absolutely ecstatic.
Artenews
Federica Fanizza
Trionfa in forma di concerto la Beatrice di Tenda
Protagonista assoluta per una sera nei panni della sfortunata Beatrice di Tenda è stata il soprano d’origine australiana Jessica Pratt. [...] Jessica Pratt lavora di finezze cercando di smorzare l’andamento anche aspro dei fraseggi narrativi, attenta ai filati, alleggerendo le discese verso la parte più cupa della partitura, senza perdere la cantabilità nelle riprese di fiato; non spinge negli acuti ma eleva la voce: queste sono le sue caratteristiche fondamentali di una cantante che di questo repertorio si è fatta protagonista incontrastata. Si è ritagliata così su misura alle sue esigenze vocali, una Beatrice di Tenda sostanzialmente melanconica e rassegnata ma non vinta recuperando una dimensione lirica e non drammatica alla struttura della sua parte offrendo un’interpretazione di estatica e quasi metafisica astrazione esemplificati dalla straziante aria del secondo atto Deh! se un’urna è a me concessa, tutto un gioco di filati, pianissimi, note tenute e dopo, Ah! la morte a cui m’appresso, con le sue sorprendenti agilità. Ma sono stati gli ampi recitativi che richiedono capacità di fraseggi e di smorzare le frasi, dove ha dimostrato una dimensione di voce più strutturata, specie nei momenti di aspro confronto con Filippo degno contraltare a cui Bellini gli ha affidato una scrittura vocale specificamente belcantista a cui richiede di essere fraseggiatore dei duetti e intervenire con veemenza nei concertati d’assieme.
Première Loge
Hervé Casini
Nella rarissima Beatrice di Tenda, Jessica Pratt, la più italiana dei soprani inglesi, trionfa al Teatro San Carlo! Si tratta ovviamente di Jessica Pratt, belliniana per eccellenza, che, da sola, valeva il viaggio nella città partenopea. Appena lei entra in scena, nel primo atto, con un abito blu turchese ornato di gemme e un bordo dorato, poi, nel II, con un abito nero con maniche color oro metallizzato – ornamento che scompare nella scena finale -, lui artista con riccioli rossi cadenti ricorda irresistibilmente i dipinti di un Tiziano o di un Veronese. Fin dall'inizio si avverte nella cantante britannica – ma ormai adottata anche dall'Italia – il gusto profondo per l'interpretazione scenica e l'interiorizzazione di un personaggio che, attraverso il solo impatto dello sguardo dell'artista, riesce a commuovere profondamente. Le parole poi non riescono a descrivere, dalla cavatina introduttiva “Ma la sola, ohimè! son io” fino alla scena finale “Deh! se un’urna è a me concesa” e l’allegro moderato “Ah! la mort a cui m’appresso”, l’eccezionale tavolozza di colori dispiegata da Jessica Pratt, il respiro che sembra illimitato e le delicate sfumature con cui la cantante adorna ciascuna delle sue arie. Allo stesso modo, le cabalette e gli altri momenti di coraggio, di cui la partitura è piena, non lasciano priva di nuove variazioni questa Beatrice di grande annata che, questa sera, si prende tutti i rischi e sale al do acuto ma anche al contro -re – che finale! – con un tecnicismo che lascia senza parole. Una serata che sicuramente sarà ricordata a lungo.

Corriere della Sera
Dario Ascoli
Il San Carlo incorona Jessica Pratt
Acuti filati, attacchi cristallini e tenuta di fiati sostenuti, il tutto con espressività memorabile. Fosse per il San Carlo, parleremmo di «Beatrice di Australia», sì perché negli ultimi sei decenni sono state due immense artiste della Terra dei Canguri a impersonare l’eroina belliniana: Joan Sutherland nel 1962 e Jessica Pratt, ieri.
Il Mattino
Stefano Vallanzuolo
Jessica Pratt esalta il Bellini dimenticato
La performance della Pratt ne giustifica la ripresa [...] Una gestione sontuosa dello strumento le consente di giungere fino all'ardita cabaletta finale in scioltezza [...] La voce cristallina, la cura dei pianissimo sempre espressivi, la disinvoltura posta al servizio del tratto virtuosistico (ivi incluso il trillo frequente), fanno di Pratt la dominatrice della serata.
Connessi all'Opera
Paola de Simone
Napoli, Teatro San Carlo – Beatrice di Tenda
Belliniana pura e al suo atteso debutto nel ruolo, Jessica Pratt è come immaginabile una Beatrice di gran temperamento, ferrea nella vitrea trasparenza con cui governa le tante e impervie colorature. In abiti da concerto ma dalla sapiente foggia teatrale (il primo turchino, il secondo nero e oro) a firma di Giuseppe Palella, vibra, s’impenna e interiorizza scolpendo a tutto tondo il personaggio fra ripiegamenti, cadenze e slanci acuminati, macinando note e acuti, giusto in un paio di casi non rifiniti o sospesi al meglio ma pur sempre miracolosi e spettacolari, tenendo testa alle sfide molteplici in pentagramma con tecnica di lusso e il pregio di delicatissimi sfumati. Nella cavatina con coro di damigelle “Ma la sola, ohimè! son io”, staccata dopo il bel si naturale a chiusura di scena, presenta con articolata espansione il suo animo dolce e dolente toccando corde lunari che tanto richiamano le tinte di “Casta diva”, per poi magnificamente dribblare con bravura funambolica tra gli acuti della cabaletta “Ah! la pena in lor piombò”, meritatamente coronata da entusiastici consensi. L’apice mirabile è come prevedibile raggiunto nella grande aria finale (Deh! Se un’urna è a me concessa), con girandola di peripezie nell’Allegro moderato (Ah! la morte a cui m’appresso) gestite ad arte fra gli estremi della sua estensione.
La penultima opera di Bellini ebbe una genesi travagliata. Composta in fretta, tra il gennaio e il marzo del 1833, risentì anche del ritardo con cui Romani consegnò la seconda parte del libretto. Il musicista catanese fu costretto a completare l'opera ricorrendo a motivi tratti da lavori precedenti (Bianca e Fernando e Zaira), rinunciando a completare il duetto tra Beatrice e Agnese, già abbozzato. Bellini attribuì al librettista la causa dell'insuccesso e ruppe temporaneamente i rapporti col suo poeta. Beatrice di Tenda è infatti l'ultima opera realizzata in comune dai due artisti. Dopo I puritani, su versi di Carlo Pepoli, Bellini riprese i contatti con Romani, ma il progetto di una nuova collaborazione fu vanificato dalla prematura morte del compositore.
Sinossi
L'azione ha luogo nel 1418 al castello di Binasco, presso Milano. Filippo Maria Visconti, duca di Milano, è insofferente alla presenza della consorte, Beatrice de' Lascari nonché contessa di Tenda, già vedova di Facino Cane. Beatrice ha portato in dote a Filippo molte terre, permettendogli di rafforzare il ducato, ma proprio queste terre sono diventate motivo di discordia tra i coniugi. Beatrice è infatti sensibile ai destini dei suoi sudditi, che Filippo (descritto dal librettista come “giovane, dissoluto, simulatore, ambizioso, e mal sofferente dei ricevuti benefizii”) tratta invece con estrema durezza. Agnese del Maino, amante di Filippo e innamorata di Orombello, signore di Ventimiglia, quando scopre che quest'ultimo è segretamente innamorato di Beatrice, decide di vendicarsi mettendo Filippo al corrente del presunto tradimento di Beatrice con Orombello. Questi dal canto suo, dopo aver adunato gli uomini devoti a Facino Cane per una riscossa contro l'ostile Filippo, si reca dall'afflitta Beatrice per dichiararle apertamente i propri progetti e il proprio amore. Agnese e Filippo irrompono in scena e vedendo Orombello inginocchiato ai piedi di Beatrice, interpretano il gesto come prova certa del tradimento e del complotto della duchessa. Durante il processo, Orombello ritratta le false accuse che Filippo gli ha estorto attraverso la tortura, proclamando l'innocenza di Beatrice. Filippo, Agnese e i Giudici smarriscono le loro certezze e, all'atto di firmare la sentenza, il duca di Milano esita, preda di sensi di colpa. Quando però apprende che la fazione devota a Facino Cane è armata e chiede di Beatrice, egli firma risolutamente la sentenza di morte. Beatrice, che continua a negare ogni colpa anche sotto tortura, accetta umilmente la propria ingiusta sorte perdonando l'invidiosa Agnese, mentre Orombello perdona i suoi nemici politici. Quindi la duchessa si incammina verso il patibolo, sostenuta dalla commossa partecipazione del popolo.

Vincenzo Bellini

Breve biografia del compositore
Vincenzo Salvatore Carmelo Francesco Bellini (Catania, 3 novembre 1801 – Puteaux, 23 settembre 1835) è stato un compositore italiano, tra i più celebri operisti dell'Ottocento. Le sue opere furono dieci in tutto, più famose e rappresentate sono La sonnambula, Norma e I puritani. Biografia Nato a Catania il 3 novembre 1801 da Rosario Bellini e da Agata Ferlito in un appartamento in affitto di Palazzo Gravina Cruyllas in Piazza San Francesco, Vincenzo fu figlio e nipote d'arte: il nonno Vincenzo Tobia Felice, originario di Torricella Peligna e all'epoca noto compositore di musiche sacre, già attivo a Petralia Sottana, fu scritturato da Ignazio Paternò Castello e pertanto si trasferì a Catania in via Santa Barbara. Il piccolo Vincenzo dimostrò precocemente un interesse nei confronti della musica e intorno all'età di 14 anni si trasferì a studiare dal nonno il quale ne intuì l'alta predisposizione verso la composizione. Intorno al 1817 la sua produzione si fa particolarmente intensa, per convincere il senato civico ad ottenere una borsa di studio per il perfezionamento da effettuarsi al Real Collegio di Musica di San Sebastiano, con una supplica datata al 1818. Nel 1819 ottenne la borsa di 36 onze annue grazie all'interesse dell'intendente del Vallo, il duca di Sammartino. Partì da Messina, ospite dello zio padrino Francesco Ferlito, il 14 giugno e giunse al porto di Napoli dopo cinque giorni di tempesta, scampando fortunosamente ad un naufragio. A Napoli fu allievo di Giacomo Tritto, ma conosciuto Nicola Antonio Zingarelli preferì seguire quest'altro, il quale lo indirizzò verso lo studio dei classici e il gusto per la melodia piana ed espressiva, senza artifici e abbellimenti, secondo i dettami della scuola musicale napoletana. Tra i banchi del conservatorio ebbe come condiscepoli Saverio Mercadante ed il musicista patriota Piero Maroncelli, ma soprattutto conobbe il calabrese Francesco Florimo, la cui fedele amicizia lo accompagnerà per tutta la vita e dopo la morte, allorché Florimo diventerà bibliotecario del conservatorio di Napoli e sarà tra i primi biografi dell'amico prematuramente scomparso. In questo periodo Bellini compose musica sacra, alcune sinfonie d'opera e alcune arie per voce e orchestra, tra cui la celebre Dolente immagine il cui testo è attribuito alla sua fiamma di allora, Maddalena Fumaroli, opera oggi nota solo nelle successive rielaborazioni per voce e pianoforte. Nel 1825 presentò al teatrino del conservatorio la sua prima opera, Adelson e Salvini, come lavoro finale del corso di composizione. L'anno dopo colse il primo grande successo con Bianca e Fernando, andata in scena al teatro San Carlo di Napoli col titolo ritoccato in Bianca e Gernando per non mancare di rispetto al principe Ferdinando di Borbone. L'anno seguente il celebre Domenico Barbaja commissionò a Bellini un'opera da rappresentare al Teatro alla Scala di Milano. Partendo da Napoli, il giovane compositore lasciò alle spalle l'infelice passione per Maddalena Fumaroli, la ragazza che non aveva potuto sposare per l'opposizione del padre di lei, contrario al matrimonio con un musicista. Sia Il pirata (1827) che La straniera (1829) ottennero alla Scala un clamoroso successo: la stampa milanese riconosceva in Bellini l'unico operista italiano in grado di contrapporre a Gioachino Rossini uno stile personale da cui prende la bellezza proprio quest'ultimo, basato su una maggiore aderenza della musica al dramma e sul primato del canto espressivo rispetto al canto fiorito. Meno fortuna ebbe nel 1829 Zaira, rappresentata a Parma per inaugurare il nuovo Teatro Ducale di Parma (oggi Teatro Regio di Parma) e la cui rappresentazione riscosse scarso successo. Lo stile di Bellini mal si adattava ai gusti del pubblico di provincia, più tradizionalista. Delle cinque opere successive, le più riuscite sono non a caso quelle scritte per il pubblico di Milano (La sonnambula, e Norma, entrambe andate in scena nel 1831) e Parigi (I puritani - 1835). In questo periodo compose anche due opere per il Teatro La Fenice di Venezia: I Capuleti e i Montecchi (1830), per i quali adattò parte della musica scritta per Zaira, e la sfortunata Beatrice di Tenda (1833). La svolta decisiva nella carriera e nell'arte del musicista catanese coincise con la sua partenza dall'Italia alla volta di Parigi. Qui Bellini entrò in contatto con alcuni dei più grandi compositori d'Europa, tra cui Fryderyk Chopin, e il suo linguaggio musicale si arricchì di colori e soluzioni nuove, pur conservando intatta l'ispirazione melodica di sempre. Oltre ai Puritani, scritti in italiano per il Théâtre-Italien, a Parigi Bellini compose numerose romanze da camera di grande interesse, alcune delle quali in francese, dimostrandosi pronto a comporre un'opera in francese per il Teatro dell'Opéra di Parigi. Ma la sua carriera e la sua vita furono stroncate a meno di 34 anni da un'infezione intestinale probabilmente contratta all'inizio del 1830. Bellini fu sepolto nel cimitero Père Lachaise, dove rimase per oltre 40 anni, vicino a Chopin e a Cherubini. Nel 1876 la salma fu traslata nel Duomo di Catania. Nelle varie tappe che segnarono il ritorno in Patria, il feretro del compositore fu accolto ovunque con calore e commozione. Giunto infine nella sua città natale, vennero celebrate le solenni esequie, a cui parteciparono migliaia di catanesi, alcuni parenti del compositore (tra cui due fratelli ancora in vita), e una folta rappresentanza di autorità civili, militari e religiose. In onore del ritorno in Patria delle sue spoglie la sua città natale riprodusse l'Arco di Trionfo di Parigi in ricordo del soggiorno francese del musicista. La tomba fu realizzata dallo scultore Giovanni Battista Tassara, mentre il monumento cittadino fu opera di Giulio Monteverde. Heinrich Heine lo descrive così: «Egli aveva una figura alta e slanciata e moveva graziosamente e in modo, starei per dire, civettuolo. Viso regolare, piuttosto lungo, d'un rosa pallido; capelli biondi, quasi dorati, pettinati a riccioli radi; fronte alta, molto alta e nobile; naso diritto; occhi azzurri, pallidi; bocca ben proporzionata; mento rotondo. I suoi lineamenti avevano un che di vago, di privo di carattere, di latteo, e in codesto viso di latte affiorava a tratti, agrodolce, un'espressione di dolore». Secondo Heine, Bellini parlava francese molto male, anzi: «orribilmente, da cane dannato, rischiando di provocare la fine del mondo».
Jessica ha già figurato nelle seguenti opere dallo stesso compositore:

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